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VASTO - LA CITTA' DOVE VIVE XERGO

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view post Posted on 13/2/2009, 00:46
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MaryRosa

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DA: XERGO68


VASTO - il mio paese natale





la Loggia Ambligh che costeggia tutto il lato sud est della cittadina






Fontana e scorcio del Castello Caldoresco (C) Luca Fanaro




 


Castello Caldoresco e Campanile della Basilica di S.Maria Maggiore (C) Luca Fanaro



 


Monumento a Gabriele Rossetti e Torre di Bassano (C) Luca Fanaro




 

Monumento a Gabriele Rossetti




 

Cattedrale di San Giuseppe




 

Torre di Bassano




 

Chiesa di Stella Maria - vasto Marina


il Castello


 



VASTO - LA STORIA

Anche se con il passare dei secoli Vasto è risultata una città sempre mutabile al percorso storico-culturale e letterario, sempre immutabile, invece, è la dolce visione del panorama che si impone con il suo immenso ed irresistibile fascino.


Sole, cielo, mare, tranquillità… ecco gli eterni attributi di Vasto, un angolo di vero paradiso terrestre, incantevole ed ospitale località balneare sull’Adriatico Abruzzese.


Le origini di Vasto si perdono nella notte dei tempi e gli storici, confortati dal rinvenimento di iscrizioni osche, nel territorio Vastese, narrano che Diomede, eroe greco, intorno al 1170 a.C., si accampò qui con la sua gente e fondò Histon, la cui etimologia sta a dimostrare che la principale occupazione era allora l’industria della lana. In seguito divenne città dei Frentani e, successivamente, dopo le guerre italiche, confederata di Roma, di cui subì l’influenza civile e culturale: col nome Histonium, fu elevata alla dignità di Municipio Romano. In quell’epoca ebbe un tempio di Giove, chiamato Campidoglio, come quello di Roma e di Capua.


Poi, con la decadenza dell’Impero Romano, Histonium subì, per quasi due secoli, le invasioni barbariche e nell’802, dopo aver resistito eroicamente all’assedio dell’esercito mandato da Carlo Magno e comandato da Guasto d’Aymone di Dordona, fu completamente distrutta.


Venne, quindi, assegnata in premio allo stesso Aymone che, affascinato dall’incantevole luogo, fondò, sulle rovine dell’antica Histonium, una città che prese il suo nome e, solo successivamente, per deformazione da Guasto divenne Vasto.


Passarono le orde turche, i veneziani, depredando e rovinando ogni cosa: saccheggi (famoso quello del saraceno Pialy Pascià nel 1566), terremoti e uragani falcidiarono Vasto. Fu coinvolto in un fiume turbinoso di vicende di guerre e passò sotto vari feudatari, dal secolo IX al secolo XIV: splendore e decadenza si avvicendarono con un ritmo sconcertante.


Dopo il periodo angioino, Vasto fu soggetta ai d’Avalos, di ceppo spagnolo. Cesare Michelangelo d’Avalos fece ricostruire il meraviglioso e massiccio Palazzo di Giacomo Caldora, distrutto dai  turchi nel 1566 e ancora oggi esistente, sebbene deturpato dalle manipolazioni dei discendenti, dove furono ospitati Vittoria Colonna, Maria d’Austria, la Regina d’Ungheria e Re Ferdinando di Borbone
.
Lo stesso Giacomo Caldora fece costruire il Castello esistente in piazza Barbacani, la Torre di Bassano in piazza Rossetti, la Torre di Amante in piazzetta di Amante, la Torre di Diomede in piazza Verdi.


Queste magnifiche e robuste fortificazioni erano munite di 66 pezzi di artiglieria e costituiscono, oggi, un prezioso patrimonio artistico.

Durante il fascismo fu chiamato Istonio in ossequio all’aria di romanità.
Da ricordare, anche, che questa terra generosa diede all’Italia uomini illustri in molti campi e, soprattutto, in quelli della letteratura (Gabriele Rossetti) e della pittura (fratelli Palizzi, Gabriele Smargiassi e Valerico Laccetti).


In panoramica, questo dice la storia di Vasto, i cui vetusti palazzi, le possenti torri, i preziosi cimeli, sotto il carico dei secoli e con i vessilli al vento, restano ad invidiare, tra le nuvole della gloria, il trionfo estivo della meravigliosa spiaggia, dinanzi al mare dal colore tanto caro ai romantici, che si allarga, dilaga e si perde all’infinito.


 



Palazzo d’Avalos (Piazza Lucio Valerio Pudente)



vecchia residenza della prestigiosissima famiglia d’Avalos. Con al lato gli stupendi giardini visitabili e all’interno il ricchissimo Museo Civico, in cui, è custodita una interessante raccolta numismatica.


E’ uno dei più significativi esempi di architettura rinascimentale abruzzese.



Probabilmente, per ragioni di stabilità, la facciata primitiva, coperta dall’attuale, doveva mostrare costrutti estetici di notevole fattura a giudicare dalle poche testimonianze reperite.


Resti della precedente costruzione si notano tuttora nella elaborata bifora-cuspidata, di recente venuta alla luce, nel muro perimetrale che dà sull’attiguo giardino; così come il prototipo murario dentro il portale d’ingresso con disegno in armonia con l’antecedente soluzione architettonica.


    


I Giardini di Palazzo D'Avalos


Il Museo Archeologico ha sede negli ambienti ricavati al piano terra di Palazzo D'Avalos. Luigi Marchesani ne curò l'organizzazione promossa dal Sindaco Pietro Muzii nel 1849.
L'istituzione del Gabinetto Archeologico Comunale (com'era detto allora) consentì di raccogliere reperti eterogenei provenienti dai diversi scavi locali nel Palazzo Comunale presso la Chiesa del Carmine.

Nel 1956, dopo vari trasferimenti, il Museo raggiunse la sua sede attuale.
Ne curò la sistemazione il Soprintendente ai Beni Archeologici dell'Abruzzo Prof. Valerio Cianfarani. Dopo una chiusura al pubblico di circa dieci anni per lavori di consolidamento il Museo riaprì nel 1998 ed oggi è visitabile secondo innovati criteri espositivi.



Al suo interno sono custoditi reperti di eccezionale pregiatezza, vestigia delle antiche civiltà che hanno abitato la zona del Vastese e del periodo di massimo splendore dell'Histonium di epoca romana.


 



da : Xergo68


 


La mia spiaggia preferita



Qui faccio sempre il bagno da 50 anni

 


 




 


 

 




I Trabocchi

 

la grande macchina pescatoria, simile allo scheletro colossale di un anfibio antidiluviano…

” cosi’ Gabriele d’Annunzio nel Trionfo della morte definiva i trabocchi.

 Il trabocco in Abruzzo parla di storia, di antichi mestieri e di poesia: macchine da pesca costituite da una struttura che sembra in perenne e precario equilibrio, tenuta con strallo di cavi e con fissaggio di pali alla roccia.

 


 

il secondo trabocco sul molo

 


 

 


 

 


 


Golfo di Vasto


il Golfo di Vasto





Il Porto di Vasto



Su di una corona di giganteschi scogli prodotti da frammenti naturali che si elevano a picco sul mare, giace Punta Penna, poco a nord di Vasto, protesa nel medio Adriatico come una propaggine, in terreno fertile, ricca dì sorgenti d’acqua dolce e dotata di aria saluberrima.


Domina i due seni di Lebba e di Lotta, in una superficie di circa 2 kmq, per poi digradare dolcemente fino allo scalo ferroviario del Porto di Vasto. Tale posizione marittima privilegiata non trova raffronti in nessuna parte d’Italia e, dal lato panoramico, è oltremodo attraente. Infatti, al di là della distesa del mare a levante, col profilo delle isole Tremiti, si scorge a nord e a sud, un lungo tratto di costa parimenti elevata come quella della Penna che strapiomba sul mare e dove nidificano uccelli marini. Completa la magnificenza della visione, a nord, l’estremità dell’attiguo seno della Lotta, ove si scorge lo scoglio Aderci noto anche come Erce, o Illice, di eccezionale mole, alla cui sommità un tempo si erigeva un turrito castello. NDR: Sull’altura che guarda il porto è situato l’omonimo faro. Subito a nord del porto si accede alla magnifica spiaggia dunosa di Punta Penna dove comincia la riserva naturale di Punta Aderci.


La zona della “Penna” ha grande importanza storica. Per concordi notizie di Plinio e Mela fu sede dell’importante città frentana di Buca, alla quale succedette quella di Pennaluce, in epoca medievale, anch’essa non più esistente. Come siano scomparse non è dato conoscere con esattezza. Forse furono le truppe Alemanne nel 1189, o quelle delle Crociate nel 1194, oppure le frequenti e devastanti intrusioni dei Goti, dei Saraceni, dei Longobardi, degli Ungari e Turchi a determinarne la completa distruzione. Le scarse e frammentarie notizie le attingiamo dai Cenobi vicini che avevano possedimenti. 


E' facile immaginare come, da siffatte incerte notizie, abbia avuto il faro e la Chiesa di S.Maria di Pennaluce origine una fioritura di leggende che rendono la zona avvolta da mistero e fascino suggestivo. È il caso di ricordare una leggenda per tutte: trafugata da pirati turchi la statua della Madonna della Penna, essa si ritrovò nel medesimo posto ove fu rapita, mentre la nave dei pirati affondò. La chiesetta qui costruita ne conserva l’immagine sacra che la gente marinara di Vasto venera con solenne processione la seconda domenica di maggio.



 

Del centro federiciano (Punta Penna)

sono state documentate, oltre alle strutture trovate nel 1993 (i resti di una chiesa, con numerose sepolture, e di un cantiere navale), un lungo tratto delle possenti mura urbane e di una fortezza posta sull’estremità del promontorio.



La ricognizione delle superfici arate, suddivise in quadrati di m 20 di lato, ha fornito elementi sufficienti per una prima definizione: 1. dell’estensione dell’insediamento urbano medievale, che non superava la metà della superficie racchiusa dalle mura; 2. delle cospicue presenze di III-II sec. a. C. (capitelli, basi, rocchi di colonna, iscrizioni osche, ecc…), che sono chiaramente riconducibili all’esistenza di un centro urbano sorto attorno a quello che ormai i dati configurano come il santuario di Stato del popolo italico dei Frentani. I materiali raccolti attestano per l’antichità la presenza di produzioni locali, pugliesi e campane, ma anche anfore dell’Egeo orientale (sono stati trovati anche due bolli greci, probabilmente rodii); per il medioevo sono state confermate le produzioni già rilevate, padano-orientali (invetriata), pugliesi (protomaiolica, invetriata) e locali (protomaiolica, invetriata). mosaico

 


Punta della Lotta è il promontorio subito a sud della spiaggia di Punta Penna, per capirci, quello dove si trovano i silos verdi della Puccioni oltre che il sito archeologico.


 


L’estremità del promontorio, come a Punta Penna, è occupata da una fortezza, coeva a Pennaluce, anche se in continuità d’uso con un’altra meno ampia (sec. XII), racchiusa nel quarto decennio del Duecento dal nuovo recinto.


Il sito, nel I sec. d.C., era occupato da un edificio, ancora da individuare, ma probabilmente interrato di sotto alla motte sulla quale sorge la struttura militare. Nella fase federiciana, accanto alla funzione militare, doveva coesistere quella fiscale: caserma di guarnigione e magazzino demaniale funzionale ai provvedimenti di natura finanziaria del sovrano svevo. Ad ogni modo, assieme alla fortezza posta sull’estremità nord del promontorio della Penna, costituiva un formidabile sistema di difesa del porto chiuso tra i due promontori.


Inoltre, da Punta Penna si controlla un ampio tratto dell’Adriatico verso Sud, sino al Gargano, da Punta della Lotta verso Nord almeno sino ad Ortona.


da www.guidabruzzo.it


 



La Costa dei Trabocchi

 


 

I trabocchi sono <macchine per la pesca> dalla riva.

 

Protesi sugli scogli per mezzo di una passerella, o con la rete agganciata a lunghi bracci a bilanciere, permettono di raggiungere anche senza barca punti dove l'acqua è più profonda e pescosa.

Nei trabocchi di scoglio e di molo un capanno sulla palafitta funge da ricovero per il pescatore in attesa di ritirare la rete, da ripostiglio per gli attrezzi o da protezione per l'argano che muove le funi.

Per secoli sono stati fonte di sostentamento di interi nuclei familiari ; il pescato oltre ad essere consumato in casa veniva scambiato con altri generi o veniva venduto sullo stesso trabocco o su bancarelle improvvisate ai bordi della strada.

 


 

Presenti in diverse aree della costa adriatica, in Abruzzo si concentrano sulla costa chietina, nel tratto che va da Punta Acquabella nel comune di Ortona, fino a Vasto.

Caratteristici di questa zona sono i trabocchi sugli scogli, ma nei porti di San Vito e Vasto sono presenti anche i tipici trabocchi di molo, numerosi nel porto di Pescara e di Giulianova. Trabocchi di fiume sono visibili lungo il Pescara e alla foce del Sangro.

I Trabocchi sono parte integrante del paesaggio abruzzese. Non solo perché architetture consuete e ormai indissolubilmente legate alla linea della costa, ma soprattutto perché proprio dagli elementi di quel paesaggio prendono vita.

Dal legno delle acacie che crescono dietro le spiagge, all’albero caduto accanto alla riva del fiume, da assi e altri relitti che il mare restituisce dopo le tempeste. Costruiti sugli scogli, sui moli, o in riva ai fiumi, simili a un prolungamento della terra nell’acqua, sono il frutto di un’architettura spontanea che nessuno spazio lascia agli elementi decorativi.

Ogni asse, ogni fune, ogni chiodo recuperato chissà dove, ha la propria funzione, una ragione per essere là dove si trova. La loro bellezza é assolutamente casuale.

Antichissimi ed effimeri al tempo stesso, diversi l’uno dall’altro e continuamente cangianti per i costanti aggiustamenti necessari alla loro sopravvivenza, negli ultimi due secoli hanno incantato viaggiatori e poeti. Il loro aspetto ancora oggi affascina con quell’intreccio di travi e funi così fragile e leggero allo sguardo, quanto flessibile e resistente alla furia delle mareggiate più temibili.

Quasi tutti sono stati ricostruiti negli ultimi anni, hanno però perso da tempo la loro funzione economica che nei secoli scorsi ne faceva principale fonte di sostentamento di intere famiglie di traboccanti”.

Oggi che il mare é diventato povero di frutti, la pesca dal trabocco é più uno svago domenicale che un’attività economica.

 


 


 
 
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